Corriere della Sera Martedì 7 Maggio 2024
Vent’anni di pazienti da Cps e comunità: con i frutti del lavoro riscopriamo la fiducia negli altri.
Di Chiara Evangelista
Un esagramma dell’antico libro cinese I Ching. Un uomo con le braccia aperte. Un segno di pace, fatto sul suolo con la ghiaia. È la rappresentazione scelta come camminamento per il giardino più antico dell’area. “Lo chiamiamo mandala proprio per la struttura circolare in cui l’esagramma è inserito. Questo è il luogo del ritorno”, racconta Aurora, riandando con la mente al momento in cui immaginò un futuro diverso per quello spazio verde abbandonato, all’interno dell’ex ospedale Paolo Pini.
“Quando anni fa chiusero i manicomi, le persone ricoverate nei reparti di psichiatria si trovarono spaesate, abbandonate a sé stesse. Non sapevano dove andare. Così molte, una volta dimesse, tornavano qui per ricominciare. Ma in modo diverso”. E quel giardino dalla forma circolare che ormai ha oltre 20 anni è un modo per tenere insieme il passato e il presente, la memoria e il futuro.
Dal 2003 persone provenienti dai centri psico sociali e dalle comunità si prendono cura degli spazi verdi dell’ex ospedale, grazie all’associazione Il Giardino degli Aromi. L’ente no profit utilizza l’ortoterapia, una pratica riabilitativa che punta sul contatto diretto del paziente con la natura perché possa trarne benefici. A metà aprile il Consiglio regionale della Lombardia, riconoscendone il valore, ha approvato una legge che prevede più finanziamenti perché questa pratica possa diffondersi sul territorio.
Il Giardino degli Aromi è stato tra i pionieri dell’ortoterapia: “Ci siamo assunti la responsabilità di prenderci cura di chi ha un vissuto difficile. I reparti di psichiatria attivano dei tirocini retribuiti e i pazienti vengono qui da noi per iniziare insieme questo percorso in un contesto vivo.” racconta Aurora. Dalla nascita dell’associazione sono centinaia le persone che in questi anni si sono prese cura del verde.
Ogni partecipante alle attività ha i propri compiti: c’è chi porta i rami secchi degli alberi, chi sparge i semi per far crescere nuove piantagioni, che estirpa l’erba “cattiva” e chi prepara il mangime per gli animali. Per alcuni il percorso intrapreso è stato motivo di rinascita.
È il caso di Stefano. “Quando sono arrivato qua, oltre 10 anni fa, ero molto introverso. Non riuscivo a fidarmi degli altri. Provenivo da una situazione complessa. Avevo trascorso gli anni precedenti della mia vita chiuso in casa, non volevo mai vedere nessuno. Mi ero ammalato e per questo sono andato in terapia. Lo sono tutt’ora. Ma da quando sono qui mi sono ritrovato. Sto comprendendo la bellezza di prendersi cura di qualcosa de vederne i frutti. Letteralmente. I primi anni, per l’entusiasmo, alle cinque del mattino ero già al lavoro nell’orto.”
Durante le attività non mancano, però, momenti anche di difficoltà: “Non è tutto rosa e fiori” sorride Aurora. “A volte capita che alcuni dei partecipanti abbiano attacchi d’ira e aggressività. Ecco, in quei casi, è un continuo imparare. Bisogna cercare un dialogo all’interno di un rapporto orizzontale. Perché – conclude – se c’è qualcosa che ho imparato dalle piante è proprio la spontaneità. Nel disordine bisogna cercare l’ordine. E viceversa”.